Persuadere (e resistere alle manipolazioni)

La nostra società fa ampio ricorso alle armi della persuasione e l’impiego di tali strumenti può determinare una vera e propria manipolazione dei nostri sentimenti.

Dietro molti “sì” che pronunciamo, inoltre, si nasconde un mero automatismo: una scorciatoia cui la nostra mente fa ricorso per rispondere rapidamente a una richiesta o per prendere una decisione istintiva.

La scienza (il massimo esperto in questo ambito è lo psicologo e professore di marketing Robert Cialdini) ha individuato sei meccanismi in grado di aumentare la probabilità di ottenere consenso.

Il primo, quello della reciprocità, afferma che se ci viene offerto qualcosa in modo gratuito e inaspettato sarà forte in noi il desiderio di contraccambiare la gentilezza ricevuta.

Il secondo meccanismo in grado di influenzare le nostre decisioni è definito della “simpatia o attrattività”: se una persona è simpatica, ci attrae, ci assomiglia o è cortese e famigliare, avrà una maggiore probabilità di ottenere la nostra approvazione.

Tendiamo poi a dire di sì a una persona autorevole o a un’autorità. In molti casi veniamo suggestionati da una divisa, da un titolo di studio o da alcuni oggetti fortemente indicativi di uno stato sociale ambito, questo è il principio dell’autorità.

Anche la disponibilità di un’offerta influenza le nostre scelte. Più questa ci appare limitata, scarsa e magari per averla dobbiamo competere con altri, maggiore sarà il nostro desiderio di ottenerla (questo viene definito come fenomeno della “scarsità”).

Il quinto principio è quello della riprova sociale: quando ci troviamo nel dubbio o vogliamo scegliere in modo istintivo, tendiamo a guardare e seguire il comportamento degli altri.

L’ultimo meccanismo è quello della coerenza: le persone hanno il desiderio di essere, ma soprattutto di apparire, coerenti con ciò che hanno detto e/o fatto in passato.

Sei principi universali capaci di scatenare un assenso automatico, che possono influenzare le nostre scelte sul lavoro, nella scuola, ma anche nel campo della salute e persino in amore.

Conoscere questi meccanismi è indispensabile per evitare di ritrovarsi in balia di chi ne fa uso più o meno consapevolmente e – soprattutto – più o meno onestamente.

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Persuadere e resistere alle manipolazioni. Tutti i segreti della scienza della persuasione


ECCO 7 TECNICHE PER AUMENTARE IL NOSTRO POTERE PERSUASIVO

1. ABITUIAMOCI A OFFRIRE IN MODO SPONTANEO E INASPETTATO

Negli anni settanta, il sociologo statunitense Phillip R. Kunz dell’università Brigham Young a Provo (Utah), decise di condurre un esperimento curioso: inviò a seicento persone che non conosceva un augurio di Natale contenente una nota scritta a mano, o una foto sua e della sua famiglia.

Poco dopo aver spedito gli auguri, Kunz ricevette circa duecento risposte: una persona su tre si sentì in dovere di rispondere alla cortese lettera di auguri di uno sconosciuto (Kunz, & Woolcott, 1976).

Ma cosa scatenò in loro questo bisogno irrefrenabile?

Secondo il principio della reciprocità, siamo più propensi a dire di sì a coloro dai quali abbiamo già ricevuto qualcosa.

Gli esperti vedono l’origine di questo comportamento in uno dei meccanismi che assicurano la sopravvivenza della specie: offrire aiuto ad altre persone fa sì che riceveremo aiuto a nostra volta, quando ne avremo bisogno.

Qualunque società o cultura tende a incentivare implicitamente il rispetto di tale regola.

Già, sembra facile, ma nella vita di tutti i giorni noi cosa possiamo offrire?

Utilizzando il principio della reciprocità, possiamo regalare qualche piccolo dono alle persone che ci stanno accanto (offrire un caffè, un cioccolatino, un piccolo aiuto eccetera).

Sapevate che tra le cose che il vostro partner vorrebbe maggiormente ricevere non vi è nulla di costoso?

Guardando i risultati di una recente indagine sui fattori che incidono nel rendere durevole un rapporto di coppia, troviamo ai primi posti il donare in modo inatteso (dunque senza aspettare una ricorrenza) e sincero. Cosa?

  • Ascolto (ovviamente attivo, che richiede di ricordare anche i piccoli dettagli di un discorso, in modo da far percepire la nostra attenzione),
  • apprezzamento (ringraziando per qualcosa di semplice, facendo un complimento diretto o anche indiretto, ad esempio dicendo ai figli quanto è brava la mamma),
  • piccoli gesti e doni (preparare la colazione al partner, posare un cioccolatino sul banco della compagna di corso…) (Gabb, Klett-Davies, Fink, & Thomae, 2013).

2. TRASFORMIAMO CIÒ CHE ABBIAMO O OFFRIAMO IN UN “LIMITED EDITION”

La limitazione della possibilità di possedere un oggetto, o di usufruire di un servizio, genera in noi la sensazione di una perdita di libertà.

Tale perdita stimola il desiderio profondo di possedere ciò che ci viene negato e contemporaneamente influenza la percezione del valore e la desiderabilità del bene o servizio in questione.

La letteratura scientifica individua cinque modalità attraverso le quali si può evocare il principio della scarsità:

  1. limitando la quantità di un bene o di un servizio: “solo 100 pezzi”, “solo i primi 10”, “5 biglietti rimasti” eccetera,
  2. limitando il tempo di una determinata offerta: “solo per oggi” (il Black Friday, ad esempio), “per tutto il mese di…”,
  3. in modo vago, ovvero senza specificare con chiarezza: “offerta limitata nel tempo”, “fino a esaurimento scorte”,
  4. limitando la possibilità di acquisto: “limite di 3 articoli per cliente”,
  5. definendo una condizione di acquisto: “ il prodotto è disponibile solo per chi è già cliente”, “servizio offerto ai titolari della tessera soci” (Gabler & Reynolds, 2013).

Abituiamoci dunque a presentare ciò che possediamo o offriamo come qualcosa di scarseggiante e limitato.

3. ENTRIAMO IN SINTONIA CON CHI VOGLIAMO PERSUADERE

Nel 1974 David Landy e Harold Sigall dell’Università di Rochester in New York, chiesero a 60 studenti di sesso maschile di leggere e valutare un saggio presumibilmente scritto da una matricola di sesso femminile.

Dopo averlo letto, dovettero valutare la qualità del saggio e le capacità di chi l’aveva scritto.

A venti studenti, insieme al saggio, fu consegnata la fotografia di una ragazza fisicamente attraente, presentata come l’autrice del saggio stesso.

Ad altri venti fu consegnata la foto di una donna poco attraente.

E, infine, agli ultimi venti studenti fu consegnato il saggio senza alcuna informazione circa l’aspetto della sua autrice.

Metà dei saggi era di buona qualità e l’altra metà di qualità scarsa.

Lo studio dimostrò come, nei saggi ben scritti, le autrici attraenti ricevessero un punteggio più alto rispetto a quello delle autrici poco attraenti. Nei saggi di qualità bassa il divario tra voto ad autrici attraenti e non attraenti aumentò, con il voto più alto sempre conferito alle donne più attraenti (Landy, & Sigall, 1974).

“Guardiamo una persona e subito si genera in noi una certa impressione del tipo di persona che abbiamo di fronte”.

Così affermava lo psicologo statunitense Solomon Asch nel 1946.

In realtà è noto ormai da quasi un secolo come i primi tratti percepiti in un individuo siano in grado di influenzare la percezione generale che si ha di quel soggetto.

Tale effetto ha un nome: effetto alone o “halo effect”.

In pratica, se in una persona emerge un tratto positivo in modo prevalente (bellezza, gentilezza, simpatia…) la nostra percezione ne sarà influenzata e saremo portati a vedere in modo positivo anche gli altri tratti di quella persona.

Prestiamo pertanto molta attenzione all’halo effect.

L’apparenza conta, lo abbiamo visto, ma ciò che più incide nell’ottenere un primo giudizio positivo è la sicurezza che saremo in grado di trasmettere.

Lavoriamo sulla nostra reputazione: ci precederà nella maggior parte dei casi prima ancora della stretta di mano iniziale.

Dimostriamo entusiasmo e passione per le cose che facciamo.

Facciamo sì che la gente (soprattutto quella stimata e carismatica) parli bene di noi.

4. PUNTIAMO SULLA COERENZA

Nel 1966 due ricercatori americani, Jonathan Freedman e Scott Fraser, decisero di testare il potere del “desiderio di coerenza”.

Vennero contattate telefonicamente 156 donne.

Una parte di costoro ricevette una prima chiamata nella quale si chiedeva di rispondere ad alcune domande sui prodotti utilizzati in cucina (piccola richiesta).

Questa condizione, rispondere a un’intervista telefonica, rappresentava un piccolo impegno cui la maggior parte delle persone generalmente accettava di sottoporsi (adesso, 50 anni dopo la ricerca, quasi tutti tendiamo ad attaccare il telefono in faccia a chiunque, perché subissati quotidianamente di offerte commerciali).

Tre giorni dopo le stesse donne, più quelle che non erano state contattate in precedenza, ricevettero una telefonata nella quale si richiedeva di accettare che qualcuno andasse a casa loro a catalogare i prodotti utilizzati in cucina (grande richiesta).

Quest’ultima condizione è sicuramente più difficile da accettare: poche persone amano l’idea che uno sconosciuto gironzoli per la loro cucina, curiosando nella loro quotidianità.

Del primo gruppo (coloro cui era stata fatta una prima telefonata con la piccola richiesta), il 52.8% accettarono di far entrare un estraneo in casa loro per catalogare i prodotti, contro il 22.2% del secondo.

In questo caso il primo gruppo di donne, accettando l’intervista telefonica (prima richiesta), aveva inconsciamente manifestato la volontà di contribuire all’indagine, l’adesione alla seconda richiesta (ovvero l’acconsentire che qualcuno si intrufolasse nella propria cucina) costituiva una risposta coerente con il comportamento messo in atto inizialmente (Freedman, & Fraser, 1966).

Moltissime persone desiderano essere coerenti e mantenere fede agli impegni presi in precedenza.

Chiedendo un piccolo impegno iniziale aumenteremo la probabilità che venga esaudita una seconda richiesta anche più impegnativa (a patto che sia coerente con il primo obbligo assunto).

5. PORTIAMO L’ESEMPIO DI CHI SI È GIÀ PERSUASO

Perché la pubblicità mi racconta che Miss Italia beve l’acqua che fa fare “plin plin”?

Perché un capo cannoniere è costretto a parlare con un uccellino per rivelare al mondo che anche lui beve l’acqua che fa fare “plin plin”?

Queste due figure sono i “modelli” di molti, e se loro fan così vuol dire che sarà cosa buona e giusta imitare il loro esempio.

Fortunatamente per noi, non è necessario essere calciatori famosi oppure fotomodelle per evocare il principio della riprova sociale.

Nel 1969 il ricercatore statunitense Milgram e i suoi collaboratori condussero il seguente studio all’angolo di una via trafficata di Manhattan:

Misero 1 oppure 5 collaboratori a guardare il tetto di un palazzo. Sia chiaro: non c’era nulla da vedere. Lo scopo era quello di capire quanti ignari passanti si sarebbero fermati a guardare (il nulla) nella stessa direzione perché incuriositi dall’interesse degli osservatori.

Eccovi i risultati: se la persona ferma a guardare il tetto è una sola, uno su cinque passanti si fermerà a fare lo stesso; se gli osservatori fermi a guardare il tetto sono cinque, allora l’80% dei passanti si fermerà a fare lo stesso (Milgram, Bickman, & Berkowitz, 1969).

Persuadere una o più persone all’acquisto di un bene o servizio, attraverso il principio della riprova sociale, è abbastanza semplice e può essere fatto in diversi modi.

Si può ad esempio citare il parere favorevole di numerosi esperti di quel settore (anche finti esperti) oppure segnalare come molte celebrità approvino il prodotto.

Si può ricordare come amici e parenti abbiano già proceduto all’acquisto o, ancora, come molti utenti abbiano lasciato valutazioni, recensioni e testimonianze positive.

Dunque, la prossima volta che leggerete o ascolterete in un messaggio promozionale: “più di un milione di persone ha già scelto questo servizio”, sappiate che quell’informazione, apparentemente inutile, punta a persuadervi utilizzando il principio della riprova sociale.

6. MOSTRIAMOCI AUTOREVOLI

Il vestito, l’atteggiamento e il titolo che utilizziamo (dottore, avvocato, professore…), contribuiscono nel farci apparire autorevoli a chi ci ascolta, ed è noto che le persone tendono a seguire e rispettare il parere dell’esperto o di chi percepiscono come autorevole.

Quali sono, nel dettaglio, i simboli che costruiscono inconsciamente nella nostra mente un’immagine di autorità? Sicuramente il titolo (giudice, dottore, professore, avvocato…), il vestito (abiti costosi, uniformi e divise, camici, medaglie…), la location (ufficio, arredamento di lusso…) e l’automobile.

Avete letto bene: anche un’auto, in qualche modo, è in grado di condizionarci.

Nel 1968, i ricercatori statunitensi Anthony Doob e Alan Gross decisero di misurare quanto tempo impiegava a suonare il clacson un automobilista bloccato da un’altra macchina (intenzionalmente posizionata dal ricercatore a un semaforo).

Se la macchina che bloccava il traffico era di classe inferiore a quella del conducente bloccato, questi suonava il clacson molto prima (Doob, & Gross, 1968).

L’aggressività aumentava anche quando il conducente che bloccava il traffico appariva di uno stato sociale inferiore a quello del conducente (McGarva, & Steiner, 2000).

D’accordo: non tutti hanno un titolo, oppure possono permettersi abiti o oggetti costosi… Come fare allora per aumentare in modo “economico” la nostra autorevolezza?

Andiamo in locali i cui proprietari conosciamo bene. Frequentiamo locali dove conosciamo molte persone.

Se tanti parlano con noi, significa che ne vale la pena e che siamo persone interessanti, piene di amici e conoscenti.

7. RIPETIAMO IL MESSAGGIO CHE VOGLIAMO TRASMETTERE

La ripetizione è uno dei metodi più diffusi ed efficaci di persuasione. I latini lo sapevano bene: repetita iuvant.

Non solo: gli psicologi hanno dimostrato che ripetere porta a un fenomeno molto interessante, l’illusione della verità (“illusion of truth effect”).

Più ascoltiamo una frase, più ci diverrà familiare, più grande sarà la nostra convinzione che sia vera. Qualunque slogan pubblicitario gioca su tale principio.

Tale effetto fu testato nel 1992 dalla professoressa Begg e dai suoi collaboratori presso l’Università McMaster in Ontario.

I partecipanti all’esperimento vennero sottoposti a una batteria di frasi come la seguente: “Gail Logan dice che i topi possono correre una media di 4 miglia all’ora” e, dopo averle sentite, dovettero giudicare se fossero vere o false.

Alcune frasi vennero ripetute, altre no: le prime furono valutate come più veritiere rispetto alle altre (Begg, Anas, & Farinacci, 1992).

Certamente non dobbiamo apparire monotoni, pertanto alterniamo frasi diverse ma che veicolano messaggi simili.

In questi sette punti sono stati sintetizzati i principali meccanismi che spingono a far dire di sì alla gente. Questi principi universali vengono applicati in ambito professionale ed extraprofessionale, e possono essere utilizzati efficacemente in amore oppure nelle nostre scelte riguardanti la salute.

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Bibliografia

Gian Luca Rosso
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