Motivare (se stessi e gli altri)

Per raggiungere traguardi ambiziosi e avere successo occorre prima di tutto la motivazione. Molti pensano che motivare voglia dire far ricorso alla regola “del bastone e della carota”; in realtà esistono strategie, dall’efficacia scientificamente dimostrata, che superano il mero utilizzo di premi e punizioni e che attivano meccanismi in grado di stimolare il desiderio di eccellenza presente in ognuno di noi.

Non basta, ad esempio, saper scegliere con accuratezza un incentivo (o un deterrente), è altrettanto importante saperlo presentare nel migliore dei modi.

Infatti una ricompensa può essere presentata in termini di guadagno (se raggiungi l’obiettivo otterrai…) oppure sotto forma di perdita (se non ottieni il risultato perderai…).

Tuttavia giocare sull’innata avversione alle perdite, presente in ogni individuo, aumenta significativamente l’efficacia dello stimolo motivazionale.

È indispensabile poi conoscere i bisogni di chi si intende motivare.

Da questo dipende la scelta tra un incentivo economico e/o materiale oppure una ricompensa capace di stimolare il senso di libertà e autonomia.

Perché non solo ogni persona è diversa, ma lo stesso individuo può modificare i propri bisogni nel corso della vita.

Sono i desideri più intimi e profondi quelli su cui si deve tentare di agire per fare in modo che un obiettivo magari poco appetibile diventi una piacevole ambizione.

Pertanto non devono essere lasciati al caso:

  • la scelta dell’incentivo (o del deterrente),
  • la sua presentazione,
  • i bisogni e i desideri di colui che si deve motivare,
  • la tipologia di traguardo che si vuole raggiungere,
  • la percezione del compito che deve essere svolto,
  • la capacità di riuscire a focalizzarsi sull’obiettivo da raggiungere.

Sono innumerevoli i piccoli ma significativi accorgimenti, che possono essere applicati su ognuno dei singoli punti appena elencati, attraverso i quali è possibile aumentare esponenzialmente la possibilità di raggiungere un risultato davvero ambizioso.

Avete deciso di mettervi a dieta: meglio porsi l’obiettivo di perdere 10 chili esatti o un numero di chili compreso tra 8 e 12?

Desiderate elogiare il vostro figlio adolescente per i risultati ottenuti nello studio: è più efficace lodarlo per la sua intelligenza o per l’impegno che ha profuso?

Che si tratti di un traguardo professionale, scolastico, sportivo o di carattere personale, quelli che potrebbero apparire come dettagli, e che vengono spesso lasciati al caso, sono invece in grado di generare lo sviluppo di motivazioni foriere di grandi risultati.

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Motivare ed essere motivati. Consigli e dimostrazioni scientifiche per riuscire a motivare chiunque


ECCO 7 STRATEGIE PER AUMENTARE LA MOTIVAZIONE E RAGGIUNGERE TRAGUARDI AMBIZIOSI

1. IMPARIAMO A PRESENTARE UNA RICOMPENSA

Nel 2013, due ricercatori statunitensi sottoposero a 63 studenti della North American University in Houston, Texas, una serie di anagrammi (ad esempio: “ETKBAS”, corretta risposta “BASKET”), alcuni facili e altri pressoché impossibili da risolvere.

Divisero gli studenti in due gruppi e annunciarono che sarebbe stata elargita una ricompensa per ogni risposta esatta. Al primo gruppo la ricompensa fu descritta con un frame positivo, al secondo con un frame negativo.

Nel primo caso, cioè, agli studenti fu detto: “Al fine di incoraggiarti a fare del tuo meglio, a ogni risposta corretta riceverai $0,25, fino a un massimo di $1,50”).

Gli studenti del secondo gruppo si sentirono dire: “Al fine di incoraggiarti a fare del tuo meglio, ti diamo $1,50 prima che tu inizi il compito e a ogni risposta sbagliata ti toglieremo $0,25”.

Nessun limite di tempo fu dato per la soluzione degli anagrammi.

I due gruppi impiegarono il medesimo tempo per risolvere gli anagrammi semplici (circa 3,4 minuti).

Tuttavia, nel gruppo dei partecipanti incentivati con un frame positivo, il tempo dedicato a risolvere gli anagrammi “impossibili” fu di 10 minuti circa, contro i 15 minuti impiegati da coloro che avevano ricevuto la ricompensa presentata in un frame negativo: la prospettiva della perdita di denaro li aveva portati a una maggiore perseveranza.

Ma c’è di più: i due ricercatori chiesero ad altri 40 studenti quale fosse, secondo loro, la proposta più motivante tra:

1) ricevere $0,25 per ogni risposta giusta fino a un massimo di $1,50,

2) acquisire $1,50 per vedersi sottratti $0,25 a ogni errore.

Il 74% dei partecipanti ritenne, erroneamente, più motivante l’opzione con frame positivo (Goldsmith, & Dhar, 2013).

Una ricompensa può essere inoltre presentata in modo competitivo (solo il primo che raggiunge l’obiettivo prefissato vince il premio) oppure cooperativo (solo il gruppo in cui ognuno collabora al raggiungimento dell’obiettivo ottiene l’incentivo).

Presentare una ricompensa in modo competitivo potrebbe tuttavia generare sentimenti negativi.

2. SCEGLIAMO UN INCENTIVO IN GRADO DI MOTIVARE E GRATIFICARE

Purtroppo la maggior parte di noi ha dimenticato il potere della ricompensa verbale, rimuovendo il ricordo, assolutamente gratificante, dei complimenti ricevuti (chi più chi meno) fin dalla primissima infanzia.

Per verificare la reale efficacia di un ringraziamento verbale, nel 2010 due ricercatori statunitensi, Adam M. Grant e Francesca Gino, divisero in due gruppi 41 studenti universitari, il cui compito era raccogliere fondi per via telefonica a favore di un’università pubblica americana.

Un gruppo ricevette una visita dal direttore della fondazione, il quale espresse la propria gratitudine: “Vi sono davvero grato per il duro lavoro che svolgete. Apprezziamo sinceramente lo sforzo che fate per l’università” (condizione di gratitudine).

Il secondo gruppo non ricevette alcun tipo di ringraziamento (condizione di controllo).

La semplice espressione di gratitudine manifestata al primo gruppo fu in grado di aumentare di più del 50% il numero di chiamate fatte per raccogliere fondi (Grant, & Gino, 2010).

D’accordo: forse un grazie non è sempre sufficiente.

Ecco allora quali sono – secondo l’Hay Group, una società di consulenza di direzione globale dalla consolidata esperienza nel settore delle risorse umane, la cui sede centrale è in Filadelfia (Pennsylvania) – i cinque fattori maggiormente in grado di gratificare e motivare i dipendenti (in ordine decrescente):

  • la natura e qualità del lavoro,
  • l’ambiente di lavoro e il clima organizzativo,
  • le opportunità di crescita professionale,
  • il buon bilancio lavoro-famiglia,
  • la presenza di programmi di riconoscimento non finanziari (McMullen, 2010).

3. SCOPRIAMO QUALI SONO I BISOGNI E I DESIDERI DI CHI VOGLIAMO MOTIVARE

Secondo gli psicologi Edward L. Deci e Richard M. Ryan, autori della teoria dell’auto-determinazione (Self Determination Theory), il desiderio di autonomia costituisce il principale bisogno dell’essere umano (Deci, & Ryan, 1985).

Ognuno di noi fondamentalmente desidera essere libero di scegliere il proprio lavoro, di organizzare il tempo da dedicarvi ma anche di possedere una certa autonomia sul modo in cui svolgerlo e sui colleghi insieme ai quali svolgerlo.

Nel 2003, il settore risorse umane della Best Buy, decise di avviare un esperimento denominato “Results-Only Work Environment” (ROWE).

Dietro al progetto la semplice domanda: cosa succederebbe se i dipendenti fossero giudicati esclusivamente sul lavoro svolto e non sul metodo utilizzato per svolgerlo?

Decisero pertanto di mettere in atto proposte radicali in modo da offrire, a una parte dei propri dipendenti, la massima autonomia.

Il programma prevedeva alcune possibilità al limite della provocazione, quali: auto-gestione del proprio orario di lavoro, possibilità di saltare tutte le riunioni (comprese quelle con i superiori), nessuna necessità di fornire giustificativi.

A fronte di questa libertà assoluta venne richiesto un aumento del 10% delle vendite.

Questo progetto, che determinò il passaggio dalla gestione dei lavoratori alla gestione del lavoro, portò a un’ottimizzazione del rapporto lavoro-famiglia, a una maggiore fedeltà aziendale da parte del lavoratore, a un aumento della produttività del 35% e un’importante riduzione del turnover.

Allora, tutto semplice: garantiamo autonomia, appassioniamo al lavoro e stimoliamo verso l’eccellenza… e il gioco è fatto!

Siete perplessi?

Conoscete forse persone che preferiscono paletti negli orari, riferimenti chiari, protocolli rigidi, che amano i soldi e il successo più dell’autonomia, in grado di appassionarsi per qualunque cosa a patto di avere garantita una carriera?

Personalmente ne conosco più d’una.

Su questo tipo di persone, la teoria fin qui espressa vacilla.

Ecco dunque che, a chi intende motivare una o più persone, conviene andare oltre le distinzioni tra tipologie di motivazioni e tipi di ricompense.

Occorre piuttosto focalizzarsi sui bisogni fondamentali degli individui.

Ognuno di noi è diverso e, nel tempo, modifica le proprie necessità.

Un’impiegata di venticinque anni, laureata in economia, probabilmente desidera essere indipendente, fare carriera e ottenere un buono stipendio; la stessa persona dieci anni dopo, se nel frattempo ha avuto due figli e ha i genitori malati, può aver bisogno di un orario di lavoro ridotto e di lavorare poco lontano da casa.

L’operaio immigrato che lavora in catena di montaggio avrà presumibilmente il bisogno di mantenere i propri figli e di integrarli nella nuova società in cui vive.

Andate a scoprire quali sono i bisogni fondamentali della persona che volete motivare. Quando li avrete individuati, tutto risulterà più facile.

4. USIAMO CON PARSIMONIA E OCULATEZZA GLI INCENTIVI IN DENARO

Il denaro ha sicuramente un importante effetto sui nostri pensieri e comportamenti.

Per spiegare il potere dei soldi sulle nostre azioni, James Heyman e Dan Ariely, due ricercatori rispettivamente dell’università della California, Berkeley e dell’Istituto di tecnologia del Massachusetts, proposero nel 2004 un’interessante teoria secondo la quale ognuno di noi inconsciamente classifica le relazioni in due tipi: uno basato sugli scambi economici e un altro sugli scambi sociali.

Per verificare tale ipotesi condussero una serie di esperimenti, nel primo dei quali i soggetti avevano il compito di trascinare da un capo all’altro dello schermo di un computer il maggior numero di cerchi possibile.

I partecipanti erano inoltre suddivisi, in base alla ricompensa che avrebbero ottenuto, in tre gruppi:

  • premio di $5,
  • premio di $0,5,
  • richiesta di partecipare all’esperimento a titolo di favore.

Quelli che furono pagati $5 trascinarono circa 159 cerchi, quelli cui erano stati offerti $0,5 ne trascinarono mediamente 101 e, infine, coloro ai quali era stato chiesto di partecipare come cortesia ne trascinarono in media 168.

Questo dimostra come sia il denaro, sia la richiesta di un favore siano ottimi motivatori; la richiesta di un favore attiva la “sfera sociale” dell’individuo andando a motivarlo in modo comunque efficace.

D’altra parte, quando viene attivata la “sfera economica”, maggiore è la somma, migliore sarà il risultato.

In un successivo esperimento, sullo svolgimento dello stesso compito fu testato l’effetto di alcuni regali di tipo diverso.

I premi per i tre gruppi furono rispettivamente:

  • una scatola di cioccolatini (valore di circa $5),
  • una barretta di cioccolato (valore di circa $0,5),
  • nessun regalo, ma la richiesta di partecipare a titolo di favore.

In questo caso non venne registrata alcuna differenza tra i tre gruppi, tutti con una media di circa 160 cerchi spostati: l’offrire un dono (indipendentemente dal suo valore), al pari del chiedere un favore, attivò unicamente la “sfera sociale”.

Quando viene offerta una ricompensa nella forma di un dono, senza alcun riferimento al denaro e al valore del dono stesso, gli sforzi messi in campo per completare il compito si originano da una motivazione altruistica o sociale.

In un terzo esperimento, a fronte del medesimo compito, le ricompense vennero definite come segue:

  • ricompensa a scelta tra scatola di cioccolatini o ritiro di $5,
  • premio a scelta tra barretta di cioccolato o $0,5,
  • richiesta di partecipare a titolo di favore.

I risultati furono i medesimi del primo esperimento, dimostrando come la semplice menzione del valore economico della ricompensa sposti le motivazioni dalla sfera sociale a quella economico-finanziaria (Heyman, & Ariely, 2004).

Questi esperimenti ci insegnano come la scelta di un incentivo sotto forma di denaro andrebbe valutata con estrema cura.

La semplice menzione del valore di un premio è in grado di attivare la sfera “finanziaria” e pertanto di modificare la percezione del compito da svolgere.

Al contrario, quando le ricompense sono date in forma di doni oppure non sono previste, gli sforzi messi in campo dal soggetto sembrano generati soprattutto da motivazioni intrinseche e sono piuttosto indifferenti alle dimensioni della ricompensa (viene infatti attivata la sfera sociale).

5. INCORAGGIAMO AL RAGGIUNGIMENTO DELL’OBIETTIVO

È più efficace comunicare al dipendente che ha già raggiunto il 40% del budget oppure che gli manca il 60% al raggiungimento dell’obiettivo?

È più motivante dire al maratoneta che ha già percorso 40 chilometri o che gliene mancano 2?

Due teorie, la “goal-gradient hypothesis” e la “small-area hypothesis”, possono rispondere ai quesiti appena proposti.

La prima si basa sul fatto che esiste una naturale tendenza a impegnarsi di più quando ci si avvicina all’obiettivo prefissato (goal).

La dimostrazione proviene da una serie di studi condotti da un gruppo di ricercatori americani, pubblicati sulla rivista Journal of Marketing Research nel 2006, il primo dei quali ebbe luogo in una caffetteria nella quale, una volta consumati dieci caffè, l’undicesimo era in omaggio.

Furono distribuite delle “tessere” sulle quali veniva apposto un timbro ogni volta che si consumava un caffè; ebbene, i clienti tendevano a consumare un maggior numero di caffè quando si avvicinavano al completamento della tessera.

Furono inoltre distribuite tessere sulle quali c’era spazio per dodici caffè e dodici timbri, ma i primi due erano già stati apposti; malgrado fosse comunque necessario consumare dieci caffè prima di ottenere la ricompensa, queste tessere venivano completate più velocemente delle altre (Kivetz, Urminsky, & Zheng, 2006).

La seconda teoria, quella delle piccole aree (small-area hypothesis), afferma che è più motivante concentrare le proprie attenzioni sulla “parte più piccola” del percorso, che può essere sia quella già completata, sia quella ancora da completare.

Secondo i professori di marketing Minjung Koo dell’università di Sungkyunkwan di Seoul (Corea) e Ayelet Fishbach della Booth School of Business dell’università di Chicago (USA), che l’hanno formulata, focalizzandosi sulla parte più breve del cammino ci si illude di procedere più velocemente.

Pertanto, quando ci si trova all’inizio di un percorso è più incisivo focalizzare l’attenzione su quanto si è già fatto (Koo, & Fishbach, 2012).

Dunque il maratoneta che si trova al suo quarantesimo chilometro andrà incentivato ricordandogli che mancano solo 2 chilometri alla fine della competizione.

6. DEFINIAMO UN TRAGUARDO SOTTO FORMA DI RANGE

Immaginiamo di iniziare una dieta: possiamo porci un traguardo specifico, come la perdita di 10 chili, oppure definire un range, ipotizziamo tra gli 8 e i 12 chili.

Ovviamente definire un obiettivo in modo preciso costituisce in sé una motivazione, perché fissa un punto di riferimento al quale ambire.

Tuttavia, gli obiettivi sono sistematicamente alterati dalla nostra percezione.

Ce lo spiega la teoria del prospetto (“Prospect Theory”), elaborata nel 1979 dagli psicologi israeliani Daniel Kahneman e Amos Tversky, secondo la quale le persone vedono gli obiettivi non in modo neutrale, ma come successi o sconfitte.

Il goal che viene prefissato è la linea di demarcazione che segna la sensazione di vittoria da quella di fallimento, a seconda che venga raggiunto (Kahneman, & Tversky, 1979).

Al termine della nostra dieta potremmo aver perso 9 chili, ma se abbiamo fissato il traguardo di perderne 10 allora resteremo almeno in parte insoddisfatti.

Al contrario se inizialmente avevamo scelto un obiettivo in forma di range (perdere 8-10 kg) allora l’aver perso 9 kg ci renderà pienamente soddisfatti.

7. STABILIAMO UN OBIETTIVO INTELLIGENTE (“SMART”)

SMART è un acronimo utile a ricordare che il traguardo prefissato deve essere:

  • specifico, dunque chiaro e non vago (“Specific”),
  • misurabile (“Measurable”),
  • assegnabile, nel caso in cui non siamo noi a doverlo raggiungere occorre specificare chi lo dovrà fare (“Assignable”),
  • realistico (“Realistic”),
  • con riferimenti temporali e scadenze (“Time-related”) (Doran, 1981).

Definito il nostro obiettivo fissiamo una data che rappresenti un “nuovo inizio”.

Sapevate che la parola “dieta” viene digitata nelle ricerche su Google con maggiore frequenza all’inizio della settimana, del mese o dell’anno, o ancora dopo una festività o il compleanno?

Stesso comportamento per l’accesso in palestra o per la firma di un contratto.

Nel mondo della ricerca scientifica si parla di effetto “fresh start”: nuovo inizio, appunto (Dai, Milkman, & Riis, 2014).

Ma perché siamo così attratti dalle date che segnano l’inizio o la fine di un periodo?

Per prima cosa, utilizzare punti di riferimento temporali chiari è utile a prendere mentalmente la distanza dalle imperfezioni del passato e ambire a un comportamento in linea con la nuova, positiva immagine di noi.

In secondo luogo, i marker temporali interrompono la quotidianità, generando una visione più ampia della nostra vita e dei nostri obiettivi.

Scelta la data, dobbiamo armarci di carta e penna.

Scrivere aumenterà infatti la nostra probabilità di raggiungere la meta desiderata e ci aiuterà a visualizzare l’impegno preso.

Infine stabiliamo a priori una strategia per affrontare situazioni potenzialmente destabilizzanti.

Ipotizziamo di aver iniziato una dieta ed essere invitati a una cena.

Siamo partiti con le migliori intenzioni, tuttavia durante il banchetto ci viene servita una serie di piatti ipercalorici ai quali avevamo deciso di rinunciare; per non offendere la cuoca, decidiamo di fare uno strappo alla regola.

E quando, alla fine, gli amici deporranno sulla tavola una torta farcita di Nutella e panna, quale sarà la nostra reazione?

Al diavolo la dieta!

Proprio così: in gergo gli esperti lo chiamano “What-the-Hell-Effect”.

A tal proposito fu condotto un simpatico esperimento in Canada, presso l’università di Toronto, nel 2010. Reclutati alcuni partecipanti, una parte dei quali era a dieta e una no, prima fu loro offerta una fetta di pizza e poi fu chiesto di valutare il sapore di alcuni biscotti.

La fetta di pizza era per tutti uguale, tuttavia a un gruppo di partecipanti fu fatta percepire come più grande di quella degli altri (attraverso un piccolo trucchetto visivo), creando così in questo campione la sensazione di aver mangiato di più.

Curiosamente, le persone a dieta e convinte di aver mangiato la fetta di pizza grande mangiarono anche il 50% di biscotti in più rispetto a quelli non a dieta (Polivy, Herman, & Deo, 2010).

L’effetto appena descritto può essere prevenuto, prevedendolo in fase di progettazione del programma di restrizione alimentare e studiando in anticipo il comportamento da tenere nelle situazioni a rischio.

Una volta scritto il nostro progetto, conserviamo il foglio in modo tale da poter periodicamente visualizzare il programma e annotare i progressi.

Questo ci aiuterà molto durante il percorso.

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Bibliografia

Gian Luca Rosso
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